Nba Finals 2014
The Starting Line-Up:
Scopri i protagonisti di Heat e Spurs


Miami Heat
Mario Chalmers
Mario Chalmers - Quando nell’estate del 2010 gli Heat “demolirono” tutto il team gettando le basi per l’attuale rosa, capace di staccare il biglietto per le successive quattro finali NBA, Chalmers venne confermato come uno degli unici tre giocatori (gli altri due sono Haslem e Wade) destinato a restare in maglia Miami.
Il primo “incontro” con le NBA Finals lo fece da panchinaro, all’epoca il titolare era Mike Bibby, e non andò nel migliore dei modi. Nessuno si attendeva, e tutt’ora si attende, un Mario dominante, ma contro Dallas (e un po’ in tutta la stagione 2010/11) i Bianco-Rossi avevano dato l’impressione di essere “confusi” quando si parlava di playmaker. Coach Speolstra imparò la lezione quindi a partire dal 2011/12 non ha più avuto dubbi sul ruolo di portatore di palla: Chalmers era e rimane titolare inamovibile come play. Tante volte, con Wade e James in campo, si limita a portare il pallone nella metà campo avversaria quindi a consigliarlo ai suoi più illustri colleghi, ma dimenticarsi di marcarlo è letale come testimoniano prestazioni tanto importanti quanto decisive avvenute nelle Finals 2012 e 2013: gara 4 contro i Thunder (25 punti, 3 assists, 2 recuperi) e gara 2 contro gli Spurs (19 punti, 4 rimbalzi e 2 assists).
Nella corsa alle Finali 2014 il rendimento in punti di Mario è andato in calando (passato da 9 punti contro Charlotte a 7.2 contro Brooklyn e appena 5.7 ad Indianapolis), tuttavia se valutiamo la stagione regolare risulta la migliore da quando si è formato il big-three con 9.8 punti, 4.9 assists 2.9 rimbalzi e 1.6 recuperi.
Dwyane Wade
Dwyane Wade - Unico membro del Big Three, e con Haselm unico giocatore del roster, ad aver già vinto tre anelli in maglia Heat Dwyane Wade mai come quest’anno ha pagato dazio ai problemi legati al ginocchio e nati nel 2002 quando era ancora un giocatore di Marquette. Con il senno dei poi è facile giudicare la situazione, ma 12 anni fa la tecnologia era parecchio inferire a quella attuale dunque a Wade venne consigliato di rimuovere il menisco. Oggi cercherebbero, come accaduto con Derrick Rose o Russell Westbrook, di “salvarglielo”, ma appunto nel 2002 gli fu rimosso ed ancora oggi ne paga le conseguenza. Gonfiore e dolore dell’articolazione lo hanno limitato ad appena 54 partite nelle quali ha segnato 19 punti ovvero la peggior media se escludiamo l’anno d’esordio. Anche assists e rimbalzi sono rispettivamente scesi a 4.7 e 4.5. Complice l’infortunio Wade ha ceduto il passo a James come bocca di fuoco numero uno, decisione che tutto sommato ha già dato ottimi risultati.
La buona notizia per i tifosi degli Heat, però, è che nella corsa alla quarta finale in quattro anni l’MVP delle Finals 2006 non solo non ha risentito dei problemi alle ginocchia, ma ha anche aumentato il proprio rendimento turno dopo turno. La miglior serie messa in mostra sinora è stata quella più importante contro i Pacers. I Giallo-Blu confidavano che farlo correre parecchio avrebbe intaccato le sue prestazioni, ma il ginocchio non ne ha risentito e Wade ha chiuso con un ottimo biglietto da visita per le Finals: 19.8 punti, 54.5% dal campo, 4.7 assists e 4.3 rimbalzi.
Chris Bosh
Chris Bosh -  Cifre alla mano siamo davanti ai migliori playoffs di Bosh in maglia Heat se escludiamo il 2010/11 (quando comunque Miami arrivò in finale e venne battuta da Dallas). L’ex-Raptors in 15 partite, ovviamente titolare inamovibile, ha macinato 15.2 punti, 5.7 rimbalzi, 1.1 assits ed 1. 3 stoppate. Ottima anche la percentuale dal campo: 49.4% (solo nel 2011/12 aveva fatto meglio).
Come il collega Wade, del quale leggete sopra, pure Chris ha aumentato il suo rendimento serie dopo serie raggiungendo l’apice nelle ultime tre partite con i Pacers. Parlando di Indiana dodici mesi fa il #1 di Miami aveva patito in particolar modo il duello con Roy Hibbert, mentre quest’anno, complice la crisi generale che ha inspiegabilmente afflitto tutti i Pacers sin dal primo turno, ha concluso con 16.2 punti, 6 rimbalzi ed il 47.5% dal campo. Come anticipato i migliori numeri provengono dalle due vittorie per chiudere la serie: gara 4 (25 punti, 6 rimbalzi, 3/5 da oltre l’arco, 7/12 dal campo) e gara 6 (25 punti, 8 rimbalzi, 2 stoppate).
Bosh confida che quanto accaduto con i Pacers gli sia di buon auspicio per riscattarsi dalle finali dello scorso anno quando venne oscurato da Tim Duncan.
Shane Battier
Shane Battier - Indovinare quale giocatore Spoelstra schiererà come ala grande (tattica – tante volte sono ali piccole che vanno a disputare tale ruolo) non è facile perché nel corso della stagione regolare e nei playoffs si sono alternati tanti nomi. Se ci basiamo su quanto avvenuto nelle 82 partite di campionato, però, l’uomo più utilizzato è Shane Battier con 56 partenze in quintetto su 73 partite disputate.
Potendo contare su tre bocche di fuoco del calibro di James-Wade-Bosh è facile intuire che Miami non gli richiede un grosso lavoro in fase offensiva, quanto più di “spremersi” nella propria meta campo. Tale richiesta potrebbe fare storcere il naso a tanti atleti, ma l’ex-Grizzlies è uno specialista della difesa quindi si mette sulle scie delle ali piccole più aggressive, quando James è impegnato sulle guardie, rendendo loro la vita il più difficile possibile. Inoltre Battier, come i tifosi di Miami sicuramente ricorderanno, se non viene marcata sulla linea dei tre punti è capace di fare “ingenti” danni come capitato in gara 2 delle Finals 2012 e gara 7 contro gli Spurs.
Per quanto riguarda i playoffs 2014 ha saltato tutto il primo turno (ad eccezione di due minuti contro i Bobcats) quindi si è messo in moto per 18.6 minuti contro Nets e 12.3 contro Pacers.
LeBron James
LeBron James - Vittorioso nelle ultime due finali, con tanto di nomina di miglior giocatore dei playoffs 2012-2013, e sconfitto nelle prime due (2007-2011), James, stacca il quinto biglietto per il palcoscenico più importante dell’anno dove cercherà di portare il proprio bilancio vittorie/sconfitte in positivo. Inoltre se dovesse risultare ancora una volta MVP delle Finals allora sarebbe il primo giocatore a centrare consecutivamente tre di questi trofei dai tempi dei Lakers di Shaquille O’Neal (2000-2001-2002).
In tema di Most Valuable Player l’ex-Cavaliers dopo averlo vinto per due anni consecutivi, ed in totale 4 volte negli ultimi 5 anni, cede lo scettro di “migliore” a Kevin Durant, ma non per questo i numeri del prescelto si sono abbassati. Nella corsa al duello finale mette in mostra: 27.1 punti, 6.8 rimbalzi, 5 assists, 1.8 recuperi, 56.2% dal campo e 35.6% da oltre l’arco in 38.3 minuti di utilizzo in 15 partite di playoffs. In verità tanto contro Bobcats (primo turno) quanto contro i Nets (semi-finali di Conference) aveva messo a referto una media di 30 punti ad incontro con la ciliegina sulla torta rappresentata da gara 4 a Brooklyn. La risposta di James alla prima “L” dei suoi Heat nell’attuale post-season è stata a dir poco decisa: 49 punti, 16/24 dal campo, 66.7% , 6 rimbalzi e 2 assists. Il “faccia a faccia” con Indiana ha leggermente inclinato i suoi numeri (22.8 punti, 6.3 rimbalzi, 5.5 assits).
A fine anno può attivare una clausola per diventare free-agent ed è opinione di molti, nonostante lui non l’abbia mai confermato o anche solo parlato dell’argomento, che in caso di vittoria del terzo titolo potrebbe decidere di tornare a Cleveland per aiutare il team della sua città (quasi) natale a vincere il primo titolo.
Udonis Haslem
Udonis Haslem - L’unico giocatore che, insieme a Wade, vanta di possedere già tre anelli ha chiuso la stagione regolare 2013/14 con le peggiori cifre in carriera.
Limitato a 46 partite, 18 volte titolare, da forti e ricorrenti dolori alla schiena Haslem è rimasto sul terreno di gioco per 14.2 minuti ovvero il minimo in carriera come lo sono i punti (3.9), i rimbalzi (3.8) e gli assits (0.3).
Sul finire della stagione problemi di stomaco lo hanno messo ko, ma Haslem è tornato in tempo per l’esordio nella post-season con i Bobcats. Spettatore non pagante nella serie seguente, Brooklyn Nets, Coach Eric Spoelstra l’ha richiamato in azione contro i lunghi Giallo-Blu di Indiana.
Come per Battier non interessano tanto le sue caratteristiche offensive, che non hanno mai “brillato” quanto era più giovane e stava meglio fisicamente, quanto più le sue doti difensive (capacità di lottare per i rimbalzi e difendere sui pari ruolo più piccoli).
Se sta bene potrebbe essere chiamato da Eric a fare l’ala grande titolare nelle Nba Finals.
Ray Allen
Ray Allen - Nell’estate 2012 Ray Allen fiutò in anticipo l’imminente fine dell’era Celtics quindi decise di prendere la direzione Florida, rifiutando una cospicua offerta proveniente da Boston, per unirsi a James e soci nell’allora lotta al back to back. Coach Spoelstra optò fin dal primo mento di utilizzarlo dalla panchina e Allen rispose nel migliore dei modi come testimonia la tripla decisiva di gara 6 delle Finals 2013 scoccata sulla sirena e vitale per forzare l’over-time quindi la vittoria a Miami e l’accesso a gara 7 (in caso di errore il titolo sarebbe andato agli Spurs).
Il ruolo di sesto uomo di lusso gli si addice alla perfezione perché consente a Ray di entrare in campo nei momenti decisivi del match senza affaticarsi troppo. La sua media minuti da quando indossa la maglia degli Heat è stabile sui 24.9 ed è una cifra da non sottovalutare soprattutto quando si considera la sua età, classe 1975 e nell’NBA dal 1996. Dopo aver alzato al cielo la coppia di campione NBA 2013 (la seconda in carriera dopo quella vinta a Boston) l’ex-giocatore di Bucks/Sonics/Celtics aveva mulinato l’ipotesi “ritiro”, ma alla fine si convinse di restare un altro anno principalmente per tre motivi: il suo ruolo gli piaceva, il minutaggio non era eccessivo e voleva portare gli Heat al Three-Peat. Oggi si trova ad un passo dal centrare (di nuovo) il suo obiettivo e nelle finali le sue capacità balistiche oltre ai 17 anni di esperienza saranno vitali per portare a Miami il quarto titolo di franchigia ed il terzo consecutivo (e terzo in carriera pure per Ray).
Chris Andersen
Chris Andersen – Impossibile non (ri)conoscere lo stravagante "uomo uccello" (in inglese "Bird Man" soprannome scelto da lui per sottolineare le capacità atletiche con cui attacca il canestro) che alla cresta ed i tatuaggi, questi partono dal collo estendendosi per tutto il suo corpo, ha aggiunto una folta barba bionda.
Quello che lo rende importante nell’equilibro degli Heat non è l’aspetto fisico, ma il solido contributo e l’energia che sprizza uscendo dalla panchina. Il #11 degli Heat non vanta incredibili capacità offensive o difensive, tuttavia nei suoi 6.6 punti, 5.3 rimbalzi e 1.3 stoppate l’ex-giocatore di Nuggets e Pelicans mette tutta l’energia di cui è capace finendo con il contagiare il resto della squadra e in più di un’occasione riesce a raccogliere il rimbalzo decisivo o respingere al mittente un tiro importante.
Rashard Lewis

Michael Beasley

Greg Oden
Rashard Lewis - Michael Beasley - Greg Oden

Rashard Lewis - Dodici mesi fa Lewis decise di proseguire la sua carriera rinnovando con gli Heat. Coach Spoelstra nelle ultime partite contro i Pacers gli ha dato i gradi da starter facendogli fare l’ala grande tattica. Da sempre noto per essere poco attivo nella propria metà campo (sin da giovane) al veterano di 15 stagione viene chiesta principalmente una cosa: piazzarsi da oltre l’arco e far pagare a caro prezzo i raddoppi sugli avversari.

Michael Beasley - Selezionato da Miami con la seconda scelta assoluta del primo giro al draft 2008 Beasley venne ceduto dopo un paio di stagioni a Minnesota quindi passò ai Phoenix Suns. Da sempre noto per i problemi fuori dal campo, utilizzo di sostanze illegali, Beasley per il 2013/14 ha cercato di rilanciare la sua (breve) carriera riunendosi agli Heat dove ha disputato un totale di 55 match (7.9 punti, 3.1 rimbalzi). Sparito dalla rotazione nei playoffs potrebbe essere “scongelato” nell’eventuale “garbage time” di alcuni match.

Greg Oden - Discorso per certi versi molto simile a quello di Beasley. Oden non è stato scelto dagli Heat e non ha avuto problemi disciplinari, tuttavia a mettere in croce la sua carriera sono stati guai fisici e le altissime aspettative (prima scelta al draft 2007). Greg, come Michael, ha scelto Miami per rilanciare la sua carriera. Pressoché invisibile in stagione regolare e nei playoffs, molto difficilmente sarà chiamato in causa sul palcoscenico più importante dell’anno.






- San Antonio Spurs -
Tony Parker
Tony Parker - La scelta numero 28 del draft 2001 si prepara a staccare il quinto biglietto per le NBA Finals in 12 anni di carriera e con 3 anelli (2003/2005/2007) ed una sconfitta (2013), l’obiettivo del Franco Belga è quello di aggiungere altra ”argenteria” alla collezione di casa. Ormai consolidato playmaker nel sistema di Popovich, Parker, si alterna con Duncan nelle vesti di opzione numero 1 in fase offensiva. Il suo gioco “preferito” è quello di lanciasi nell’area dove punta diretto il canestro che trova non con gesti atletici di prepotenza (schiacciate,) quanto più dando incredibile parabole alla sfera che (di solito) finisce il proprio arcobaleno nel cilindro.
Tony, grazie al sopracitato sistema dell’ex-agente CIA, rimane in campo per un massimo di 30 minuti evitando così di affaticarsi troppo o subire infortuni. In “infermeria”, purtroppo, si è dovuto recare nella serie contro i Blazers (dopo l’incredibile gara 3 – 12/20 dal campo per un totale di 29 punti) causa dolori alla caviglia che sono tornati a farsi sentire nelle ultime partite del match con i Thunder (non a caso la sua peggiore serie con 13.2 punti, 4.8 assits e 2.2 rimbalzi).
I quasi 5 giorni di pausa fra le Finali della Western Conference e le NBA FInals dovrebbero essere a sufficienza per permettergli di tornare al 100% a lottare in quella che è la prima finale “back to back” di tutti i tempi per i Nero-Argento.
Danny Green
Danny Green - Dodici mesi fa Green si presentava sul palcoscenico delle Finals come un’esordiente per lo più sconosciuto al grande pubblico. E’ difficilmente poteva essere altrimenti dal momento che parliamo della scelta numero 46 al draft 2009 dei Cavaliers.
Nonostante la vittoria di Miami il #4 degli Spurs ha lasciato un biglietto da visita indimenticabile che oggi lo rende uno dei giocatori più famosi di San Antonio. Ad entrare nel cuore dei tifosi, e nel canestro degli avversari, sono i suoi tiri da tre punti: in gara 3 delle Finals 2013, sonora sconfitta per Miami, riscrisse il record per numero di triple realizzate in una gara di Finali laureandosi MVP della serata (27 punti, 9/15 dal campo, 7/9 da tre, 4 rimbalzi, 2 recuperi, 2 stoppate); in gara 5 tornò ad essere decisivo riscrivendo un altro record ovvero quello per triple realizzate da un singolo giocatore in una serie di Finals (appartenente a Ray Allen) con 6/10 da oltre l’arco (24 punti in tutti). In gara 7, però, si fece tradire dall’emozione finendo con una disastrosa prestazione.
Incassata la sconfitta il nativo di North Carolina è tornato con tutto il gruppo Spurs per un altro assalto al titolo e Popovich lo ha confermato guardia titolare tanto in stagione regolare (59 volte starter su 68 match) quanto nei playoffs (15/15). Parlando di playoffs Green (complessivamente 9.3 punti, 44.7% da tre, 3.3 rimbalzi e quasi 1 stoppata ed 1 recupero a serata) ha aumentato il rendimento turno dopo turno. La sua migliore prestazione è gara 2 contro i Thunder: 7/11 dal campo di cui 7/10 da oltre l’arco per un totale di 21 punti.
Tiago Splitter
Tiago Splitter - Il talento brasiliano classe 1985 si trovava nella sua terza stagione NBA quando lo scorso anno è stato portato al “battezzo” nelle Finals come centro titolare degli Spurs.
Finita l’era della Twin Towers (Duncan-Robinson) San Antonio, anche solo per forza di cose (i centri puri sono ormai quasi tutti scomparsi), cambiò il proprio modo di stare in campo passando da una notevole potenza di fuoco sotto canestro ad una “ultra potenza” nel verniciato (Duncan), ma con la seconda/terza opzione offensiva sul perimetro (leggasi Parker/Ginobili).
Dunque il sistema Popovich versione 2000 chiede al centro titolare di segnare solo quando pescato libero dai colleghi e di battersi allo stremo per i rimbalzi che sfuggono ai compagni di squadra. Tiago cerca di svolgere tale ruolo nel migliore dei modi e sinora ha trovato la fiducia di Popovich tanto in stagione regolare quanto nella post-season. Parlando di playoffs, cifre alla mano, sta disputando i migliori della sua (per ora breve) carriera: 7.9 punti, 6.5 rimbalzi, 2 assists ed il 59% dal campo sono i suoi massimali in tutte e quattro le categorie.
Tim Duncan
Tim Duncan - Il nativo delle Isole Vergini è la prova tangibile che nello spogliatoio degli Spurs il Gatorade non si beve da semplici bicchieri, ma direttamente dal Sacro Graal, i cui effetti, per chi non lo ricorda, sono quelli di dare l’eterna giovinezza.
Scherzi a parte la longevità di Duncan continua ad impressionare perché oltre all’infinito palmers di titoli di squadra (quattro) ed individuali ottenuti (di cui abbiamo parlato l’altranno), stagione dopo stagione, si ripresenta in perfette condizioni fisiche e pronto a lottare per quello che, secondo l’opinione pubblica, dovrebbe essere il famigerato “ultimo ballo” ed invece non è altro che “l’ennesimo ballo”. A tale riguardo la mente ci porta subito allo scorso 21 Giugno quando nei secondi finali Timoteo, sul 90-88, sbagliò prima il tiro e poi il tap-in per portare il match in pareggio e forzare l’eventuale over-time. In seguito a tale errore si lasciò andare ad una delle pochissime reazioni d’istinto cioè “schiaffeggiò” il parquet di Miami. Molti considerarono tale gesto come un messaggio “subliminale” ovvero un rammarico per essersi fatto sfuggire la possibilità di vincere l’ultimo titolo della sua carriera. Invece, a quanto pare, Duncan voleva solo appuntarsi di ritornare in finale ed è riuscito a raggiungere il traguardo anche se l’obiettivo, ovviamente, è alzare l’anello (per lui il quinto) sfuggitogli di un soffio.
Duncan, classe 1976, in stagione regolare ha giocato circa 1 minuto in meno rispetto al 2012/13 sfiorando la doppia-doppia di media: 15.1 punti, 49% dal campo, 9.7 rimbalzi, 3 assists e 2 stoppate. Nella corsa alle Finals ha dominato il parquet dei rivali texani di Dallas con percentuali dal campo “imbarazzanti” (per la difesa dei Mavs) come testimonia l’87.5% di gara 7 oppure il 77.8% del match prima. Ha leggermente sofferta il faccia a faccia con i Blazers ed in particolare il più giovane Aldridge (comunque liquidati 4-1 dagli Spurs) quindi è tornato a brillare nel duello con i rivali di Oklahoma City (17.8 punti, 10 rimbalzi, 2 assits, 1 stoppata).
Kawhi Leonard
Kawhi Leonard -  Per Leonard vale in parte lo stesso discorso fatto su Danny Green ovvero dodici mesi fa si presentava sotto i riflettori più importanti del campionato come un “novellino” pressoché sconosciuto al grande pubblico. Come il collega, però, pure Kawhi ha lasciato un “indimenticabile” ricordo negli spettatori sulla parte di campo che più preferisce: la propria. Giocatore più utilizzato da Popovich nei playoffs 2013 e 2014 (quest’anno 31.6 minuti di media) a Kawhi viene chiesta solo “una” cosa: mettersi sull’esterno più pericoloso (guardia o preferibilmente ala piccola) e difendere allo stremo rendendogli la vita il più difficile possibile. Un anno fa fece uno splendido lavoro su James annullandolo, per quanto si possa annullare uno come LeBron, in più di un’occasione.
Considerare questo ragazzo classe 1991 solo come uno specialista della difesa, però, è un errore perché quando gli Spurs lo prelevarono da Indiana, team che lo scelse al draft, lo fecero perché convinti fosse un atleta multidimensionale (il paragone più vicino è Shawn Marion) e Kawhi ha già confermato tali aspettative (ne sanno qualcosa i Blazers che lo hanno tralasciato in difesa e lui ha risposto con 17 punti, 7.6 rimbalzi, 56.1% dal campo e 1.2 assists). Considerato che si trova al terzo anno nella NBA gli verrà sicuramente utile il fatto di essersi già rapportato una volta con l’infuocato clima delle Finals.
Manu Ginobili
Manu Ginobili - Alle porte delle finali 2013, le quarti disputate da Manu, si era mulinata l’ipotesi che una volta conclusosi il campionato l’Argentino avrebbe deciso di imboccare la via del ritiro. Dietro a tale affermazione c’erano principalmente due grosse motivazioni: l’età non più rosea (classe 1977) e i costanti infortuni alle caviglie che lo avevano martoriato per tutto il 2012/13. Decisivo soprattutto in gara 5 (24 punti, 10 assists, 2 rimbalzi) per portare la serie sul 3-2, Manu, come tutti i tifosi texani, aveva accarezzato l’idea della vittoria in gara 6 per poi ripiombare nella realtà (tripla del pareggio di Allen) e venire sconfitto in gara 7 (fra l’altro l’ultimo possesso utile, con una manciata di secondi sul cronometro, venne proprio rubato da James a Ginobili). Dunque una volta terminato il campionato Ginobili aveva tre valide ragioni per appendere le scarpe al chiodo, ma è bastato un colloquio con i suoi compagni di squadra (incluso Popovich) per convincerlo a rinnovare.
L’ex-agente CIA l’ha utilizzato circa 60 secondi in meno (da 23.2 a 22..8) nei quali Manu ha confermato di essersi gettato allo spalle tutti i problemi migliorando, se pur leggermente, le sue cifre: 12.3 , 4.3 assists, 3 rimbalzi ed 1 recupero. Inoltre ha disputato un totale di 68 match che sono il maggior numero degli ultimi 3 anni. Inutile dire che in 65 dei 68 match è partito dalla panchina. Sesto uomo ufficiale anche in post-season, 18-0, ha aumentato il proprio rendimento (15.2 punti 3.7 assits, 2.7 rimbalzi e 1.5 recuperi) specialmente contro i Thunder facendo sentire meno i problemi alla caviglia del collega franco-belga
Boris Diaw
Boris Diaw - Partito Gary Neal, durante l’estate passato ai Bucks (come free-agent) e poi ceduto ai Bobcats, il cugino d’oltralpe Diaw ha ereditato un maggiore minutaggio al quale ha saputo rispondere con un aumento di rendimento.
Alla sua terza stagione in maglia Spurs, la seconda completa, Diaw, ricordiamo scelta nel 2003 e classe 1982, ha messo in mostra i migliori numeri da quando veste la divisa Nero-Argento: 9.1 punti, 52.1% dal campo, 2.8 assists e 4.1 rimbalzi.
Nella post-season è andato ancora meglio mantenendo costanti assits e rimbalzi, ma aumentando i punti (10). Come per i suoi colleghi, ad eccezione del Big Three, lo scorso anno ruppe il ghiaccio con il clima delle Finals. Adesso, presa conoscenza dell’ambiente, vuole chiudere festeggiando.
Marco Belinelli
Marco Belinelli - Belinelli impressionò tutti per il suo sangue freddo negli scorsi playoffs in divisa Bulls e proprio per questo motivo gli Spurs furono ben felici di aprire le trattativi con l’Azzurro appena diventato free-agent. In stagione regolare, la sua prima in maglia Spurs, solo Patty Mills, rilegato in fondo alla panchina, è riuscito a disputare più partite arrivando a quota 81. Il Beli si è “fermato” ad 80, nelle quali ha ricevuto un minutaggio pari a 25.2 di media producendo 11.4 punti, 2.8 rimbalzi e 2.2 assists.
Il piatto forte della casa è stato il tiro da tre punti: dei 293 tentativi ben 126 sono andati a segno producendo una media del 43%. Il lavoro svolto da Marco è quello di piazzarsi sul perimetro, preferibilmente negli angoli, dove attendere scarichi di colleghi raddoppiati. Da li scocca triple che infiammano l’AT&T Center di San Antonio. Sempre in tema “bombe” l’NBA lo ha convocato per la gara dei tre punti dove si è laureato miglior tiratore da tre della manifestazione (prima italiano di sempre a vincere tale nomina).
Nella corsa alle finali NBA Greg Popovich lo ha fatto scalare nella rotazione abbasando scendere il minutaggio dell’ex-Warriors a 16.5. In generale sono diminuiti i suoi tiri e di conseguenze le statistiche (5.7 punti, 2.6 rimbalzi e 1 assists). Belinelli è il primo giocatore italiano di tutti i tempi a prendere parte ad una finale NBA Che sia destinato ad essere anche il primo di sempre ad alzare la coppa di campioni del mondo?

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