Nba Finals 2013
The Starting Line-Up:
Scopri i protagonisti di Spurs e Heat


- San Antonio Spurs -
Tony Parker
Tony Parker - In carriera il Fraco-Belga ha raggiunto tre volte le finali e almeno sino a questo momento, come del resto vale per tutti i suoi compagni, non ne è mai uscito a mani vuote. Anzi nell’ultimo viaggio sul palcoscenico più importante dell’anno, che risale al 2007 contro i Cavaliers di James, concluse come l’MVP della serie.
La scorsa estate aveva fatto sudare freddo tutti i tifosi degli Spurs, e non solo, quando venne coinvolto in una rissa in un locale della Grande Mela e ne usci con un occhio “devastato” da una bottigliata ricevuta durante la colluttazione (dove Parker non aveva nessun ruolo se non quello di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato). I medici diagnosticarono una scheggia penetrata al 99% nel bulbo oculare. Seguendo la riabilitazione alla lettera Tony, per fortuna,  nel 2012/13 non ha minimamente risentito dell’infortunio che avrebbe potuto causargli la perdita della vista e la fine della carriera.
In 66 partite, 66 volte titolare, Parker ha messo a referto 23.1 punti, 7.6 assists, 3 rimbalzi in 32.9 minuti a partita.  Nei playoffs Popovich ha aumentato il suo minutaggio di circa 5 minuti e l’ex-marito della Longoria ha risposto aumentando il rendimento: 23 punti, 7.2 assists, 4 rimbalzi, 1.21 recuperi ad incontro. Tanto in stagione regolare quanto nei playoffs è il miglior realizzatore (oltre che assists-man)  degli Speroni.
Da 12 anni agli Spurs, tutta la sua carriera, Tony è capace di servire ad occhi chiusi gli altri due punti “fermi” della rotazione Nero-Argento ovvero  Duncan e Ginobili. Oltre ai numerosi assists, però, sa anche quando salire d’intensità e diventare il leader del team come accaduto nelle sfide finali contro Warriors e Grizzlies dove il suo rendimento ha dato il colpo di grazia ad entrambi i club (37 punti in gara 4 contro Memphis; 25 punti e 10 assists in gara 5 contro Golden State).
Danny Green
Danny Green - Arrivato alla quarta stagione in NBA Danny Green si è guadagnato la fiducia di Popovich e degli Speroni partita dopo partita. Dopo un anno a Cleveland, 2009/10, si trasferì in Texas giocando appena 8 incontri il primo anno, 66  il secondo (con 38 partenza da titolare) sino ad arrivare agli 80 match e altrettante partenze in quintetto di questa stagione.
Il compito del prodotto targato North Carolina è quello di piazzarsi oltre la linea dei tre punti e beneficiare degli assists provenienti da Parker, Duncan e/o Ginobili quando questi vengono raddoppiati. Danny svolge questo compito magistralmente  come testimoniano i numeri. In stagione regolare ha tirato con il 42.9% da oltre l’arco grossomodo confermandosi nella post-season (43.1%).  E’ bene specificare che Green non fa solo pagare dazio da oltre l’arco, ma se la cava egregiamente anche dentro il verniciato:  44.8% in stagione regolare e 44.7% in post-season. Importante, com’è facile immaginare quando si parla di un giocatore degli Spurs, anche il contributo in difesa: 1.07 palloni rubati e 4.1 rimbalzi ad incontro nei playoffs.
Tiago Splitter
Tiago Splitter - Nelle prime due finali (1999-2003) gli Spurs potevano contare sull’ambata Duncan-Robison, ma dal 2004 in poi a Duncan sono stati associati degli ottimi “gregari” capaci di aiutarlo nel migliore dei modi. Stiamo parlando di Nazr Mohammed (2005) e Fabricio Oberto (2007) ovvero ottimi elementi capaci di inserirsi alla perfezione nella chimica di Popovich dove il centro titolare, considerando il talento generale di cui dispongono gli Speroni, deve “accontentarsi” di un limitato numero di possessi in attacco, ma allo stesso tempo devi battersi come un leone in difesa a catturare i rimbalzi che “sfuggano” a Timoteo (ed eventualmente rifilare qualche stoppata).  Quanto descritto era il compito svolto dai sopracitati Mohammed-Oberto ed è il lavoro di Tiago Splitter.
Il talento brasiliano, scelto al draft 2007 (chiamata numero 28) tuttavia nell’NBA da soli due anni (questo è il terzo), in stagione regolare è partito titolare in 58 occasioni degli 81 match disputati convincendo coach Pop a dargli i gradi da start ufficiale nella post-season (11 volte su 12 totali).  Il suo rendimento è leggermente calato nei primi due turni, ma nella sfida contro Memphis ha approfittato delle attenzioni su Duncan per ritornare a quasi 9 punti, 3 rimbalzi e 2 stoppate ad incontro.
Tim Duncan
Tim Duncan - Per descrivere questo giocatore dovrebbe bastare il nome a cui è collegato un palmares capace di far invidia ai più grandi campioni di sempre: quattro volte campione Nba (’99-’03-’05-’07), tre volte MVP della finale (’99-’03-’05), due volte MVP della NBA (’02-’03),  quattordici volte convocato per l’All Star Game (1998, 2000-2011, 2013), dieci volte inserito nel primo quintetto ideale All-NBA Team, tre volte inserito nel secondo All-NBA Team, una volta nel terzo All-NBA Team, otto volte inserito nel primo quintetto ideale difensivo All-Defensive First Team, sei volte inserito nel secondo All-Defensive Team e Nba Rookie of the Year 1998.
Duncan, soprannominato da Shaquille O’Neal  “The Big Foundamental”, continua a dispensare lezioni di fondamentali ad ogni avversario che gli si para davanti ed è proprio questo suo continuo allenarsi e seguire i fondamentali che gli sta permettendo di essere uno dei giocatori più longevi della storia NBA.  Arrivato alla stagione numero 16 in carriera ogni anno, Tim, sente al suo nome accostare frasi del tipo “ultimo ballo degli Spurs” o “squadra al tramonto” ed in effetti le apparizione degli Speroni nei playoffs ’09-’11 (nonostante una stagione regolare in alcuni casi davvero ottima) non erano andate troppo bene: nel 2009 eliminazione per mano dei Mavs al primo turno, 2010 schiacciati al secondo turno dai Suns (4-0) ed infine nel  2011 la straordinaria impresa dei Grizzlies qualificati con il numero 8 e capaci di battere San Antonio nelle vesti di testa di serie numero uno.  L’altranno i Texani sono arrivati in finale di conference dove una squadra giovane e dinamica come i Thunder ha trasformato il 2-0 iniziale in 4-2.
Fatto tesoro di quest’ultima esperienza Popovich ha migliorato i propri schemi e tutti i giocatori hanno beneficiato di questa scelta. Il miglioramento più netto forse è stato proprio quello di Duncan: dopo due stagioni con le cifre in discesa, Tim, 37 anni, è tornato a chiudere in positivo sfiorando la doppia doppia: 17.8 punti, 50.2% dal campo, 81.7% dalla lunetta (miglior percentuale in carriera), 9.9 rimbalzi, 2.7 assists e 2.7 stoppate a partita in 30.1 minuti di media. Nella post-season ha praticamente replicato i risultati (con l’eccezione della prima partita delle finali di conference chiusa con soli 6 punti).
Sinora non ha mai perso una finale (4/4) dunque se gli avversari vogliono avere una chance di battere San Antonio devono trovare il modo di fermarlo.
Kawhi Leonard
Kawhi Leonard -  Il talento di San Diego è arrivato in Texas al draft 2011 quando gli Spurs acquistarono la scelta numero 15 dei Pacers perché convinti delle sue potenzialità. Popovich era rimasto impressionato principalmente da tre caratteristiche che sposavano alla perfezione Leonard con il tipo di giocatore ricercato da  San Antonio:  rimbalzi, percentuale dal campo e rapporto palle rubate / falli.
 Da subito paragonato a Shawn Marion, uno dei giocatori “multi dimensionali” più famosi della NBA, Leonard non ha deluso le aspettative dell’ex-agente Cia e dei suoi colleghi.  Con il 49.4% dal campo ed il 37.4% da oltre l’arco (nei playoffs salito a 56.5% dal campo e 41.7% da tre punti) Leonard è il giocatore ideale a cui fare arrivare palla quando le tre bocche di fuoco principali (Duncan, GInobili, Parker) sono raddoppiate e nell’attuale post-season questo ruolo gli vale 13 punti a partita. A questi Leonard, sfruttando la sua principale caratteristica, aggiunge la bellezza di 8 rimbalzi. Il ritratto di questo ragazzo proveniente da Los Angeles, classe 1991, si conclude con 1.6 recuperi ad allacciata di scarpe. Nei playoffs risulta il giocatore più utilizzato di tutta la rosa con 37.1 minuti di media a partita (14 volte in campo e altrettante volte titolare).
Manu Ginobili
Manu Ginobili - Il fantasista Argentino prosegue nel ruolo che gli riesce meglio: entrare dalla panchina a partita iniziata e dare una scarica d’energia alla squadra. Ormai da anni Popovich ha imparato a fidarsi delle capacità di Manu di inventare in fase offensiva senza, però, mai trascurare la propria metà campo ed è per questo motivo che quando la palla scotta Ginobili  si trova sempre e comunque in campo.
Arrivato alla stagione numero 11 in carriera, 35 anni, i suoi numeri sono leggermente in calo complici anche i continui infortuni alle caviglie: 11.8 punti, 42.5% dal campo, 35.3% da oltre l’arco, 4.6 assists, 3.4 rimbalzi e 1.3 recuperi in 60 partite di stagione regolare (mai titolare).  Nella post-season sono leggermente diminuite le percentuali dal campo (38.3% e 32.4%), ma ha migliorato assists e rimbalzi (5.4 e 4.5).  Nella corsa alle Finals 2013 ha “sofferto” soprattutto gara 3 delle finali di Conference mentre al turno prima i Golden State Warriors sono riusciti a limitarli solo  in gara 6  (5 punti – 1/6 dal campo) lasciando, però, campo aperto ai suoi colleghi che hanno beneficiato di 11 assists targati Argentina.  Quello che i numeri non dicono sono i tiri importanti e le giocate chiave messe a referto da Ginobili nei momenti clou delle partite per proiettare gli Spurs alla loro quinta finale NBA (sinora Manu, come Parker e Duncan, non è mai uscito sconfitto dalla lotta per l’anello).
Gary Neal
Gary Neal - Neal, giunto quasi al termine della terza stagione NBA, ha trovato la propria dimensione a San Antonio come backup di Tony Parker anche se viene spesso utilizzato da backup di Danny Green con Manu Ginobili da ala piccola. Neal, che di certo non è un grandissimo atleta, non ha qualità da playmaker (1.7 assists in stagione regolare e 1 nei playoffs)  tuttavia può garantire giocate di qualità sfruttando l’abilità di eseguire il pick-and-roll con ottima capacità (e con Duncan gli schemi vengono ancora meglio).  Oltre al già citato pick-and-roll  sa cavarsela anche in penetrazione.
In stagione regolare riceva in minutaggio più elevato (21.8 di media) con percentuali  discrete (41.2% dal campo e 35.5% da oltre l’arco ed una media di 9.5  punti ad allacciata di scarpa).  Nella post-season Popovich preferisce lasciare spazio ai veterani quindi il minutaggio di Neal è sceso a 15.7 ad incontro (5.5 punti di media). I “minimi” li ha raggiunti nelle partite clou: gara 5 contro i Warriors (con la serie sul 2-2) appena 5 minuti in campo e gara 4 contro i Grizzlies (primo match point per San Antonio) 7 minuti e un solo tiro tentato.
Matt Bonner

Boris Diaw
Matt Bonner - Boris Diaw - Matt Bonner - Ha iniziato la post alla grande (almeno per i suoi standard) viaggiando a 10 punti e 5 rimbalzi nei primi due match contro i Lakers.  Sceso di rendimento nelle successive due partite, si è poi “eclissato” in tutta la serie contro i Warriors (minutaggio ridottissimo in da gara 3 a gara 6). E riapparso contro Memphis (12 punti in gara 1) senza, però, lasciare il segno. Nessuno, nonostante questi alti (medi) e bassi costanti, lo ha criticato perché il suo ruolo principale non è altri che quello di posizionarsi oltre l’arco costringendo il lungo avversari ad uscire dall’area (lasciando più spazio a Duncan o alle penetrazione dei colleghi) pena colpire da tre punti con una discreta percentuale (42.9% contro Memphis e addirittura 75% contro i Lakers). Ricapitolando,  non avendo gioco in post-basso o fluidità nel pick-and-roll e difendendo non benissimo, il suo compito è quello di costringere gli avversari a seguirlo oltre l’arco oppure colpire dalla lunga distanza.

Boris Diaw – Anche per il cugino d’oltralpe gli anni d’oro, quando lasciò tutti a bocca aperta confermandosi un giocatore all-around ai Phoenix di D’Antoni, sono ormai trascorsi tuttavia Popovich lo ha voluto acquistare nel 2011/12, prelevandolo dai  Charlotte Bobcats, per via delle sua capacità multidimensionali. Infatti negli Speroni  Diaw si occupa tanto di giocare centro (la sua posizione all’interno della rosa è di centro) quanto di spostarsi fra il ruolo di ala grande e ala piccola concedendo minuti di riposo ai titolari e garantendo un livello tecnico sul terreno di gioco sempre medio/alto.






Miami Heat
Mario Chalmers
Mario Chalmers - Entrato a far parte del quintetto base degli Heat con la stagione 2011/12 (prima faceva dentro / fuori con il ruolo di back-up) Chalmers non ha più lasciato tale ruolo risultando 77 volte titolare sulle 77 partite di stagione regolare e 16 volte su 16 nella post-season.
Il  ruolo di Mario sulla carta è quello di playmaker, ma quando in squadra i tuoi colleghi si chiamano Dwyane Wade e LeBron James (ovvero due ottimi, fra le altre cose, portatori di palla) ecco spiegato perchè gli assists di Chalmers tanto in stagione regolare quanto nella post-season sono stati “appena”  3.5.
In fase offensiva Mario si occupa di portare palla oltre la metà campo quindi darla a James o Wade quindi resta in attesa di eventuali raddoppi per colpire con percentuali più che discrete dal campo (42.9%) o dalla lunga distanza (40.9%).  Le medie ottenute sinora nella post-season parlano di 8.9 punti, 3.5 assists e 2.1 rimbalzi, tuttavia non bisogna sottovalutarlo perché nel momento del bisogno è anche in grado di tirare fuori dal cilindro grande partite. La più nota, almeno sino a questo momento, risulta gara 4 delle Finali Nba 2012. Con la serie sul 2-1 gli Heat spinsero i Thunder sul baratro dell’eliminazione proprio grazie a Chalmers autore di un match a dir poco inaspettato quando decisivo: 25 punti, 3 assists e 2 recuperi.
Detto in altre parole trascurarlo in fase difensiva potrebbe essere letale per gli avversari.
Dwyane Wade
Dwyane WadeQuando nella fatidica estate 2010 Wade e Riley costruirono gli attuali Heat (Dwyane ha convinto James e Bosh ad unirsi a lui sul campo; mentre Riley ha fatto lo stesso da dietro ad una scrivania) il loro obiettivo era quella di gettare le fondamentale per un team destinato di anno in anno a lottare per il titolo. Con il traguardo della terza finale in tre anni (2011 persa, 2012 vinta) l’obiettivo si può considerare raggiunto.
Una serie di lievi infortuni hanno limitato Wade a 69 incontri ovvero il minor numero dalla stagione 2007/08 (escludendo l’effetto lock-out del 2011/12), tuttavia il suo rendimento non ne ha risentito rimanendo inalterato: 21.2 punti, 52.1% dal campo, 5 rimbalzi, 5 assists, 0.9 stoppate e 1.9 recuperi ad incontro.  Continuando il paragone con l’anno precedente Wade ha proseguito con la “tattica” dodici mesi fa risultata nuova, mentre oggi etichettata “stabile” oltre che vincente: Dwyane non è più la bocca di fuoco numero uno negli schemi di Spoelstra, ma lascia tale ruolo a LeBron James. Questo non significa che Wade non attacchi più e/o si limiti ad un ruolo di comprimario, ma piuttosto comprendo l’ottimo momento di carriera in cui si trovo James quindi gli lascia la libertà di inventare/attaccare per primo.  Tale comportamento si riflette anche nelle cifre di quest’ultima post-season dove i punti sono scesi a 14.1 (minimo storico in carriera) mentre il resto dei numeri non ha subito variazioni. Dolori alla caviglia gli hanno fatto saltare gara 4 contro i Bucks, ma l’infortunio dovrebbe essere alle spalle.
Chris Bosh
Chris Bosh -  Sulla carta, un po’ come accade con Chalmers, Bosh risulta centro ed infatti si occupa di saltare per la palla a due, ma in verità non è un segreto per nessuno che giochi centro “tattico” (leggasi “ala grande”) e che dodici mesi fa, dunque,  gli Heat abbiamo vinto l’anello senza un centro di ruolo.
Comunque la prima stagione nelle vesti da campione in carica è iniziata alla grande per Chris Bosh il quale nel mese di novembre ha viaggiato con 20.2 punti, il 56.3% dal campo, 8.2 rimbalzi e 1.2 stoppate ad incontro. Nei mesi successivi è calato (leggermente) di rendimento salvo recuperare ad Aprile quando l’ex-Raptors è risalito a quota 17.5 punti e 7.5 rimbalzi conditi da 3.3 assists.
Per quanto riguarda la post-season ha soprattutto patito il duello con gli Indiana Pacers i quali  gli schieravano contro pari ruolo tecnicamente più “puri”. Dopo le prime tre partite non ha mai superato la doppia cifra andando a concludere con 11 punti, 4.3 rimbalzi ed un allarmante 37.7% dal campo di media. Alla vigilia della finale questi numeri non promettono nulla di buono perché il duello più “naturale” per lui, sul palcoscenico delle NBA Finals, sarà quello nel verniciato contro Tim Duncan.
Udonis Haslem
Udonis Halsem - Superato completamente l’infortunio ai crociati e vinto il secondo titolo in carriera Udonis Haslem nel corso della stagione 2012/13 ha ottenuto i gradi da ala grande titolare  (o eventuale centro tattico) partendo in quintetto base 59 volte su 75 match. Nella post-season Spelstra e Riley lo hanno confermato con 16/16.
Mai stato un grande realizzatore (gioco in post limitato e difficilmente capace di costruirsi un suo tiro) a Miami queste lacune (considerato il talento smisurato dei colleghi) non interessano ed infatti hanno deciso di puntare su di lui sfruttando le sue migliori caratteristiche:  difensore solido, buon fisico, si batte su ogni pallone, cercare di prendere più rimbalzi possibili e difficilmente commette falli stupidi.
Le medie di Haslem sono ai minimi storici (3.9 punti e 4.1 rimbalzi aveva fatto peggio solo da rookie) , ma nella post-season ha disputato due ottimi match contro Indiana in gara 3 (17 punti, 7 rimbalzi) e gara 6 (16 punti, 3 rimbalzi) entrambi vinti dagli Heat.
LeBron James
LeBron James - Un po’ come per Tim Duncan dovrebbe bastare il solo nome per descrivere James che quest’anno ha (di nuovo) dominato in lungo ed in largo l’NBA vincendo il quarto titolo di MVP nell’arco di cinque anni (2009, 2010, 2012, 2013).  I suoi numeri lo descrivono meglio di tante parole: 26.8 punti, 56.5% dal campo, 40.6% da oltre l’arco, 8 rimbalzi, 7.3 assists, 1.7 recuperi e quasi 1 stoppata di media a partita in 37.9 minuti di utilizzo. Inoltre James nella propria metà campo è fra i giocatori più attivi di tutta la NBA come testimonia il secondo posto nell’assegnazione del premio difensore dell’anno (andato a Marc Gasol) e l’unanimità dei votanti nell’inserimento nel All-Defensive Team (oltre ovviamente che nel All-Nba Team).
Parlando di playoffs James non ha conosciuto ostacoli nei primi due turni replicando quanto fatto vedere in stagione regolare. Contro Memphis ha dovuto impegnarsi di più in prima persona nella fase offensiva chiudendo a 29 punti di media (51%) a discapito degli assists (scesi a 5.3).
A livello di finali James dodici mesi fa si è finalmente tolto l’etichetta di perdente vincendo il primo anello NBA (nonché MVP delle Finals) dopo le sconfitte del 2011 e 2007. Oggi quest’ultima esperienza assumerà un “sapore” particolare per LBJ perché fu inflitta con un netto 4-0 proprio dai San Antonio Spurs che asfoltarono gli allora giovani ed inesperti Cavs (dove tutto dipendeva da LBJ).  Inutile dire che LBJ voglia “vendicarsi” e laurearsi campione “back to back”.
Shane Battier
Shane Battier - Lo specialista della difesa che si alza dalla panchina l’altranno, nonostante si trovasse alle sua prima esperienza nelle Finals, giocò un ruolo chiave per portare la vittoria agli Heat in gara 2 (5/7 da oltre l’arco per un totale di 17 punti) e quindi andare a Miami sul 1-1.
Considerati gli ottimi risultati il club targato Florida ha proseguito nel farlo partire dalla panchina dove, come anticipato, mantiene alto il livello difensivo anche quando i titolari si riposo. Inoltre la capacità di colpire dagli angoli con continuità si sposa alla perfezione con gli scarichi degli eventuali James o Wade raddoppiati dalle difese avversarie. La sua altezza inoltre gli permette di essere schierato eventualmente come ala grande tattica e questa mossa potrebbe venire usata in più di un occasione per fronteggiare Tim Duncan (e costringerlo a stare sul perimetro lasciando libera l’area colorata).
A livello di rendimento nessuno gli chiede di fare partite “estreme” (6.6 punti 2.3 rimbalzi, 0.8 stoppate e 0.6 recuperi in stagione regolare) anche perché la sua percentuale da oltre l’arco (43%) soddisfa le esigenze di Miami. A quest’ultimo riguardo, però,  è doveroso sottolineare le difficoltà registrate nella corsa alle Finals 2013 con appena il 23% complessivo dalla lunga distanza (addirittura contro Indiana è sceso al 13.3%).
Ray Allen
Ray Allen - Deluso dalla stagione 2011/12 trascorsa a Boston, non tanto a livello di risultati quanto per il trattamento (continuamente inserito, fino all’ultima sera di mercato, in eventuali scambi) la passata estate Allen rifiutò la cospicua offerta dei Bianco-Verdi per spostarsi a Miami. Cifre alla mano la proposta targata Boston era quattro volte superiore (12 milioni di dollari contro 3) e gli avrebbe permesso di proseguire in un roster ed una città che già conosceva.
L’ex-Sonics, che oltre al trattamento ricevuto non andava nemmeno troppo d’accordo con Rajon Rondo, non cambiò idea e decise di spostarsi nel sud della Florida perché considerava Miami una serie pretendente al titolo 2013.  L’inserimento nella rosa dei campioni in carica, com’è facile immaginare quando si parla di un giocatore considerato all’unanimità uno dei migliori professionisti in circolazione, è avvenuto senza intoppi ed il suo gioco è subito entrato in sintonia con quello di James e soci. Le responsabilità in attacco sono (ovviamente) diminuite (10.9 punti rappresentano il minimo storico in carriera), ma Ray è indiscutibilmente il sesto uomo di “lusso” nella formazione allenata da Spoelstra il quale, considerata anche la pluriennale esperienza dell’ex-Bucks/Sonics/Celtics, preferisce sempre averlo sul terreno di gioco quando il pallone scotta e il cronometro si avvicina allo zero assoluto (in questi casi è anche “comodo” il suo 41.9% da oltre l’arco).
Chris Andersen

Mike Miller
Mike Miller - Chris Andersen
Chris Andersen – Senza ombra di dubbi uno dei giocatori più famosi non solo degli Heat, ma di tutta la NBA.  Tuttavia dietro alla sua fama non ci sono tanto le caratteristiche tecniche  (discreto rimbalzista, ottimo saltatore, capace di segnare su tap-in) quanto il suo aspetto fisico. Infatti Chris, che per le sue gesta atletiche prende il nome di “Bird-Man” (nulla a che vedere con il talento di The Legend), è  probabilmente il giocatore più tatuato di tutta la lega con disegni che partono dall’inizio del collo. Miami l’ha aggiunto a metà stagione facendogli disputare ogni singola partita (48 in campionato e 15 di playoffs – in una è stato espulso causa fallo anti sportivo) perché la sua energia carica tanto il pubblico quanto i compagni di squadra. Nella post-season viaggia a 7.1 punti, 4.1 rimbalzi e 1.3 stoppate in 15.5 minuti di media a partita.

Mike Miller – I tifosi di Miami lo ricorderanno di sicuro per essere stato l’eroe della quinta ed ultima partita delle passate finali. Trascorse quattro partite nell’ombra l’ex-Magic, nonché rookie of the year classe 2001, in gara cinque prese il comando dello scuola bus per salire in cattedra di prepotenza: 7/11 dal campo di cui 7/8 da oltre l’arco gli valsero 23 punti ovvero un bottino decisivo per mettere KO i Thunder, i quali non avevano alcuna strategia per marcarlo, e portare il secondo titolo di franchigia a Miami.
Utilizzato 15 minuti di media in stagione regolare e sceso ad 8 nei playoffs, il  ruolo di Mike resta sempre il medesimo: piazzarsi oltre l’arco dei tre punti e attendere gli scarichi dei colleghi per colpire con una pioggia battente dalla lunga distanza. Lo scarso minutaggio nei playoffs riflette le grosse lacune nella propria metà campo.

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